lunedì 30 marzo 2009

SILICOTUBERCOLOSI, malattia tubercolare evolutiva frequente in soggetti colpiti da silicosi

SILICOTUBERCOLOSI, malattia tubercolare evolutiva frequente in soggetti colpiti da silicosi (vedi). Le alterazioni proprie della pneumoconiosi da silicio facilitano infatti l'impianto e lo sviluppo del bacillo di Koch. La sintomatologia è ovviamente quella associata della silicosi e della tubercolosi, con un'evoluzione più o meno rapida, a seconda delle condizioni generali del soggetto già affetto dalla silicosi; la silicotubercolosi tende di norma ad un'evoluzione più accentuata delle forme di tubercolosi non associata a silicosi: astenia, dimagrimento, febbre sono particolarmente rilevanti. La diagnosi si avvale dell'accertamento radiografico del torace; la cura è quella adottata di norma per combattere le tubercolosi.

SILICOSI, pneumoconiosi dovuta all'inalazione di polveri che contengono particelle di silice

SILICOSI, pneumoconiosi (vedi) dovuta all'inalazione di polveri che contengono particelle di silice allo stato libero, particolarmente sotto forma di quarzo, cristobalite e tridimite. Per la sua origine professionale, la grande diffusione (è la tecnopatia attualmente più comune), l'irreversibilità delle alterazioni polmonari, l'evoluzione maligna, la silicosi è malattia di rilevante importanza sociale. Al ri- schio sono esposti i lavoratori di molte categorie: i minatori ed i lavoratori addetti all'estrazione e frantumazione di minerali e rocce contenenti silicio, alla fabbricazione di prodotti abrasivi e di ta- luni detersivi, di carborundum, vetro, porcellana, refrattari, ceramica, gli operai addetti a lavori di fonderia che si espongono a polvere di sabbia fsterratori, scavatori, ecc), quelli adibiti a molatura ed affilatura con uso di mole contenenti silicio, e a decapaggio e levigatura con getti di sabbia. Le particelle che possono essere causa di silicosi sono quelle tanto piccole da potere superare la barriera protettiva delle prime vie aeree e capaci quindi di raggiungere gli alveoli e il tessuto polmonare interstiziale; sono quindi silicotigeni i frammenti e le particelle di diametro inferiore ai 5 micron (ma non inferiori a micron 0,5: le particelle più piccole infatti, restano in genere sospese nell'aria e vengono rimesse dai polmoni con l'espirazione).

SILICATOSI, pneumoconiosi deposito nei polmoni di polvere

SILICATOSI, pneumoconiosi (vedi) dovuta al deposito nei polmoni di polvere di súícati (per la maggior parte dei quali è spesso usato, anche se impropriamente, il termine di talco), inalate per lo più in sede lavorativa. La silicatosi (a volte chiamata talcosi) è caratterizzata da una prognosi essenzialmente benigna, ad eccezione dell'asbetosi che ha un'evoluzione particolare. I silicati più usatinell'industria sono le argille, il talco, lo zircone, il caolino, le miche, le ardesie, i felspati (quale la pietra pomice); molti di essi si trovano associati a silice libera, cosicché molte forme di pneumoconiosi sono dovute all'azione contemporanea di polvere di silicati e silicio, e presentano quadri clinici misti.

SIGMOIDITE, infiammazione dell'intestino del sigma

SIGMOIDITE, infiammazione dell'intestino del sigma, segmento del colon discendente a forma di S (vedi colite). Si fa distinzione tra sigmoidite acuta e cronica. I sintomi orientativi di questa affezione sono: diarrea, dolore talora ribelle alle cure, irradiantesi a tutta la parte sinistra dell'addome, feci spesso contenenti muco, pus e sangue. La diagnosi differenziale va posta innanzitutto con l'amebiasi (vedi). Specie nelle forme acute è presente febbre. La terapia prevede riposo, applicazioni calde sul perineo o semicupi caldi, antidolorifici ed antispastici e, all'occorrenza, antibiotici.

TUMORI DEL SIGMA, tumori che interessano il sigma

TUMORI DEL SIGMA, tumori che interessano il sigma, penultimo tratto del grosso intestino, situato tra colon discendente e retto, nella metà sinistra dello scavo pelvico. È questa una sede frequente di adenocarcinomi, in tutto analoghi a quelli del colon, perché il sigma è segmento del colon staccato dalla parete addominale posteriore e quindi agevolmente asportabile.

SIFILIDE DEL CUORE, localizzazione elettiva dell'infezione luetica a livello delle valvole cardiache,

SIFILIDE DEL CUORE, localizzazione elettiva dell'infezione luetica a livello delle valvole cardiache, specialmente aortiche, conseguente spesso ad aortite luetica, a lue del miocardio, o delle coronarie, oppure dell'endocardio. Nell'aortite luetica l'infezione si estende alle valvole semilunari aortiche che non trattengono così più il sangue quando devono chiudersi. L'insufficienza aortica di origine sifilitica è il vizio più diffuso imputabile alla coronarite luetica. La sintomatologia è sovrapponibile a quella dell'angina pectoris (vedi). Nella miocardiopatia luetica si hanno fenomeni di interessamento miocardico affini a quelli di tutte le miocarditi e della miocardite degenerativa arteriosclerotica. Nell'endocardite luetica si ha usura della tunica interna che tappezza il cuore, con possibile lesione anche dei lembi valvolari. Così possono originarsi vari tipi di vizio cardiaco valvolare, ad esempio a tipo di stenosi, di insufficienza, di stenoinsufficienza. L'intervento terapeutico deve essere del tutto diretto contro la malattia primitiva infettiva, deve cioè mirare ad annullare l'agente
specifico della sifilide, prima che questo abbia provocato lesioni cardiovascolari. Poiché oggi l'infezione luetica si individua precocemente, cioè al primo stadio, è difficile incontrare evoluzioni della malattia verso stadi ulteriori che coinvolgano anche l'apparato cardiocircolatorio.

SIFILIDE, o lue, la prima e più grave delle infezioni veneree

SIFILIDE, o lue, la prima e più grave delle infezioni veneree, malattia generalizzata che inizia con l'infezione causata da un microrganismo denominato Treponema pallido, chiamato un tempo Spirocheta. L'origine storica della sifilide non è chiara. Vi è una teoria, detta colombiana, che lega la comparsa della sifilide in Europa al ritorno di Colombo dall'America, e quindi ritiene la malattia di provenienza americana. Ciò che è certo è che la prima descrizione della lue venne fatta dall'italiano Fracastoro ai primi del secolo XV, periodo in cui vi fu una epidemia disastrosa con manifestazioni cliniche gravissime. Il Treponema pallido è un microrganismo caratterizzato da una forma a spirale, le cui spire hanno diametro di circa un micron (un millesimo di millimetro), e lunghezza da 6 a 15 micron; si riproduce per divisione diretta, è dotato di movimenti attivi di avanzamento, di rotazione e di ondulazione. Resiste bene alle temperature basse, è invece sensibilissimo al calore, al disseccamento, ai disinfettanti d'uso consueto, al sapone comune. A seconda del modo in cui viene contratta la malattia, si ha: la sifilide acquisita, che si contrae dalla nascita in poi, la sifilide congenita, che si contrae nella vita intrauterina. Nella sifilide acquisita le fonti di contagio sono costituite dalle lesioni della cute e delle mucose, dalla saliva, dallo sperma, dal sangue, dal latte e dalle urine. In certi casi anche lesioni abrasive banali in persona luetica possono rappresentare una fonte di contagio. Il contagio può essere diretto o indiretto.

SIEROANAFILASSI, o malattia da siero, malattia di tipo allergico

SIEROANAFILASSI, o malattia da siero, malattia di tipo allergico che si può manifestare dopo la somministrazione di un siero. I sieri animali più adoperati nelle malattie umane sono quello antidifterico (estratto ordinariamente dal sangue di cavallo reso immune al tossoide antidifterico) ed il siero antitetanico (estratto dal cavallo o dal bue); più raramente impiegati sono l'antibotulinico, l'antigangrena gassosa, l'antirabbico e l'antivipera. Altri sieri sono scomparsi dalla terapia per la possibilità di trattamenti curativi meno pericolosi e più efficaci. Il siero antitetanico, ad esempio, viene sostituito dalla gammaglobulina umana che, come tutti i sieri di provenienza umana, è esente da rischi. Ma il siero antidifterico, impiegato per via intramuscolare o endovenosa, va somministrato nei casi di difterite o di sospetta difterite anche prima che i dati di laboratorio confermino la malattia per il pericolo che la tossina difterica produca danni imponenti fissandosi sui tessuti. L'iniezione può generare una malattia da siero i cui sintomi possono essere immediati e drammatici (collasso circolatorio, imbibizione sierosa ed edemi glottidel) o tardivi (orticaria, prurito, febbre, malessere, dolori articolari, ecc.) e possono comparire anche nove giorni dopo l'iniezione del siero.

SINDROME DI SIEMENS, o displasia anidrotica ectodermica

SINDROME DI SIEMENS, o displasia anidrotica ectodermica, si presenta con xerostomia (secchezza anormale della cavità orale con lingua screpolata), anidrosi (abolizione della secrezione sudorale con secchezza della pelle). Coesistono caduta di capelli, cute grigiastra, guance infossate, distrofie ungueali, cheratosi palmare e plantare, mancanza del gusto e dell'odorato, congiuntive secche, fosse nasali atrofiche, orecchie deformate. La sindrome è talvolta molto sfumata e si limita alla mancanza di denti e all'anormale secchezza palmare e plantare. Si verificano un'anomala tolleranza al caldo, al freddo e al vento. La malattia è ereditaria e colpisce in prevalenza i maschi (fino al 90 per cento dei soggetti colpiti). Bisogna evitare i lavori violenti o prolungati e le temperature sgradevoli, curare i denti con ortodonzia correttiva. La sindrome non è curabile ed è dovuta a un'aplasia congenita estesa ai tegumenti e ai loro annessi.

SIDEROSI

SIDEROSI avvelenamento dovuto all'inalazione di vapori o polveri di ferro o di ossidi di ferro. Si tratta di una pneumoconiosi al cui rischio sono esposti i lavoratori addetti all'estrazione estrazione e al trattamento di minerali di ferro e dell'ocra, alle fonderie e laminatoi, alla saldatura con arco elettrico e al taglio di metallo con cannello ossidrico. La siderosi produce alterazioni al parenchima polmonare (reticolazione, nodulazione, enfisema), che provocano una sintomatologia caratterizzata da dispnea, tosse, espettorato ed a volte febbre e bronchite. La presenza di eventuali polveri di silice miste a quella di ferro può determinare un'associazione con la silicosi (siderositicosi). La diagnosi si avvale dell'anamnesi lavorativa e dell'esame radiologico dei polmoni; la causa è sintomatica. L'allontanamento dal lavoro consente in genere la guarigione, con remissione delle alterazioni del tessuto polmonare.

SICOSI VOLGARE

SICOSI VOLGARE o sicosi da piogeni, per distinguerla dalla sicosi parassitaria da funghi cutanei, infezione che colpisce escluivamente l'uomo nella regione pelosa del viso, nel 90 per cento dei casi al labbro superiore. La causa è un germe piogeno (produttore di pus), lo stafilococco aureo, che proviene solitamente dall'ambiente esterno, talora da infezioni del naso, agevolato dalle irritazioni provocate dal rasoio. Oltre ai baffi può essere interessata la barba. Si formano pustole tipo impetigine di Bockardt, che poi si uniscono tra loro e si coprono di croste; il labbro si gonfia, iniziano sensazioni di dolore, trafittura, tensione dei tessuti. Il decorso è cronico e vi partecipano anche le linfoghiandole sottomascellari; la guarigione può anche dare luogo a zone dove i peli non cresceranno più (alopecia). Prima di iniziare la cura locale è d'obbligo tralasciare l'uso del rasoio; si effettuano quindi impacchi caldo-umidi borici per diminuire il gonfiore; più avanti si esegue la depilazione delle zone infette; infine si applicano alcol jodato e lozioni antibiotiche. Gli antibiotici sono consigliabili, nella prima fase, anche per via interna.

SHOCK

SHOCK complesso dei sintomi che comporta come effetto emodinamico sostanzialmente la caduta della pressione arteriosa periferica (collasso periferico). Le cause di shock sono molteplici: traumi, turbe psichiche, gravi emorragie, infezioni acute, ustioni, azione tossica da medicamenti intollerati o presi in eccesso, forme allergiche generiche (crisi anafilaffiebe), ecc. Lo shock di natura cardiogena, cioè legato a condizioni cardiovascolari anomale, si verifica nei gravi scompensi acuti di cuore, nelle pericarditi acute gravi, nelle emorragie in pericardio (emopericardio), nell'embolia polmonare fulminante, nell'infarto miocardico. Per quanto riguarda i sintomi dello shock, il malato appare pallido, sofferente, sudato (con sudorazione fredda), perde completamente le forze e gli arti talvolta pendono inerti. Il polso va molto in fretta, diventa piccolo di ampiezza, filiforme, celere. La pressione arteriosa subisce una caduta e si ha la netta tendenza all'ipotensione. Anche la pressione venosa fa registrare limiti più bassi. Tutta la circolazione appare deficitaria anche a livello delle coronarie; pertanto si possono verificare crisi di angina pectoris, in seguito a shock cardiogeno. Naturalmente ogni condizione di shock, per quanto pericolosa, può essere suscettibile di trattamento, qualora si riesca ad eliminare la causa determinante, che consiste fondamentalmente nella perdita di equilibrio, nell'ambito del circolo dove quasi sempre, in fase di shock, si verifica una riduzione della massa quantitativa del sangue (volemia); il fenomeno si manifesta in particolare nelle emorragie gravi, nelle perdite di acqua, nelle ustioni estese che comportano fuoriuscita abbondante di plasma, in situazioni tossinfettive. 1 sintomi generali dello stato di shock variano a seconda dell'entità del quadro. Essi sono preminentemente a carico dell'apparato cardiocircolatorio: caduta della pressione arteriosa, aumento della frequenza del polso. Non soltanto la pressione delle arterie rimane alterata, bensì il collasso riguarda anche la pressione venosa: le vene non appaiono più turgide, sono estremamente piccole, difficili da pungere con l'ago per aspirare sangue o iniettare liquidi e fleboclisi. Il cuore, all'esame clinico e all'elettrocardiogramma, dimostra anomalie; il tracciato fa registrare segni di sofferenza miocardica diffusa, di cui risentono sia il circolo generale (in quanto il sangue arriva male e scarsamente in periferia) che il circolo coronarico. La durata dello shock è in rapporto alla condizione morbosa che lo determina.

SINDROME DA SFORZO

SINDROME DA SFORZO si manifesta con vari sintomi cardiaci (tachicardia, precardialgia, sincope, ecc), respiratori (dispnea) e sudorazione. Talvolta i sintomi sono giustificati da prestazioni muscolari esagerate oppure sono segni di incapacità costituzionale fisica o psicologica. Ne sono colpiti i nevrastenici e i soggetti ansiosi. Nel lavoro muscolare si produce acido lattico il cui aumento (iperlatticidemia) può essere calcolato all'esame del sangue. Si produce lattociduria (aumento dell'acido lattico nelle urine). In condizioni patologiche il metabolismo di tale acido è alterato, ad esempio, nell'insufficienza surrenalica nella miastenia nelle atrofie muscolari.

SFINGOLIPOSI

SFINGOLIPOSI malattia ereditaria caratterizzata da dolori articolari multipli, disseminazione di macule e papule sulla pelle, disturbi renali e mentali, crisi dolorose e febbrili. Nell'ulteriore decorso compaiono insufficienza cardiaca, iperazotemia sino al coma. L'eziologia è determinata da carenza di enzimi per cui risulta compromesso il ricambio dei grassi. La sfingoliposi è una malattia a decorso inesorabile che colpisce i bamibini nel corso dei primi sei anni, con prevalenza per i maschietti.

SETTICEMIA

SETTICEMIA, o sepsi, grave stato infettivo che si manifesta quando i microbi si diffondono rapidamente in tutto l'organismo attraverso il sangue, superando le difese locali ed i poteri immunitari generali. Il punto di partenza della setticemia va ricercato in focolai infettivi. Le forme più frequenti sono: la setticemia puerperale, che inizia da una infezione uterina dopo il parto o per un aborto; la setticemia da tromboflebite purulenta; la setticemia a partenza da focolai purulenti, quali ferite infette, foruncoli, sinusite, otite, ascessi, empiema della cistifellea, prostatite, annessite, ecc; la setticemia da focus orali (granulomi dentali, tonsilliti); la setticemia lenta, da endocardite. Nella maggior parte delle forme setticemiche la sintomatologia ha un inizio solitamente brusco, con febbreelevata accompagnata da brividi violenti, mal di testa, stato di agitazione e di prostrazione, aumento delle pulsazioni cardiache. Ciò che colpisce è l'aspetto di grave sofferenza del paziente (aspetto settico). Frequentemente alla sepsi si sovrappongono complicanze cardiache (endocardite, miocardite, pericardite), respiratorie (polmoniti), oppure meningiti e formazioni di ascessi in ogni parte del corpo. Qualora si sospetti una sepsi, prima di iniziare il trattamento con antibiotici bisogna praticare subito l'emocoltura (nel corso della crisi febbrile si preleva dalla vena del paziente una certa quantità di sangue che viene insemenzato su speciali terreni di coltura adatti a far moltiplicare eventuali germi presenti); una volta isolato il germe, si procede in laboratorio ad eseguire l'antibiogramma, che serve a stabilire quale sia l'antibiotico più attivo. Questa procedura è indispensabile perché la sepsi può essere sostenuta da diversi germi e perché taluni microbi possono risultare diversamente sensibili e talora del tutto resistenti a questo o a quell'altro antibiotico. In base al responso del laboratorio si sceglie l'antibiotico più attivo e, data la gravità della malattia, è consigliabile fare trattamenti con associazioni di due o anche tre antibiotici.

SESTA MALATTIA

SESTA MALATTIA o roseola infantile, o esantema subitum, malattia dell'infanzia che compare dopo un periodo di incubazione di durata variabile (presumibilmente da sette a diciassette giorni) e si manifesta con febbre elevata (da uno a cinque giorni). Nel periodo di defervescenza febbrile compare un esantema, abitualmente modesto e di durata effimera; si tratta di macchie talvolta limitate al tronco, molto simili a quelle della rosolia; molto incostantemente coesistono una lieve faringite, un modesto risentimento ghiandolare ai lati del collo e irrequietezza. Nel 12 per cento dei casi di sesta malattia, i bambini presentano attacchi convulsivi (che possono degenerare in una benigna encefalite para-infettiva). La malattia, di origine virale, si manifesta prevalentemente in bambini di età inferiore a due anni e ha prognosi lieta. All'esame del sangue si nota temporanea diminuzione dei globuli bianchi. La dieta è libera; la terapia, in assenza di rimedi specifici, è basata sul riposo a letto, sulla somministrazione di antitermici e sull'applicazione di discrete spugnature fredde; sono utili i sedativi in caso di convulsioni, specie nei bambini soggetti a forme convulsivanti.

SENSIBILIZZAZIONE

SENSIBILIZZAZIONE è un processo immunitario per cui alcune cellule dell'essere vivente reagiscono a un qualsiasi danno. I linfociti, elementi della serie bianca del sangue, possiedono sulla loro superficie dei recettori chimici specifici (immunoglobuline specifiche) di sostanze estranee venute con loro a contatto (antigene). Nei linfociti si generano allora degli anticorpi diretti a combattere gli antigeni. Le cellule successivamente formatesi reagiscono violentemente a un nuovo eventuale contatto con le sostanze che precedentemente hanno prodotto tale sensibilizzazione. Vengono così provocate reazioni di difesa esagerata capaci di generare disturbi organici. Quanto sopra è una spiegazione semplificata di quanto si verifica nel raffreddore da fieno, nell'asma, negli incidenti da sieroterapia, nel fenomeno del rigetto e nelle allergie in generale.

domenica 29 marzo 2009

TUMORI DEL POLMONE

TUMORI DEL POLMONE da cinquant'anni a questa parte i tumori del polmone (da taluni chiamati carcinomi broncogeni, perché quasi tutti insorgenti dalla parete dei bronchi) sono in costante aumento in tutti i paesi civilizzati: sono al secondo posto negli Stati Uniti dopo il cancro della mammella, al secondo posto in URSS dopo il cancro dello stomaco, raggiungono livelli di incidenza particolarmente alti in Inghilterra, Finlandia, Austria, Belgio e Olanda; in Italia provocano ogni anno 22 morti ogni centomila abitanti. Tutti gli studiosi sono ormai d'accordo nell'attribuire questo aumento dei tumori polmonari all'abuso del fumo di tabacco, allo smog, al ricorrere di infezioni influenzali, cioè a stimoli irritativi diversi, che associandosi aumentano i rischi di cancerizzazione dei canali respiratori; altri fattori ancora sconosciuti sono però certamente in gioco, altrimenti non si spiegherebbe perché il cancro polmonare abbia frequenza diversa in paesi egualmente industrializzati e perché esso colpisca gli uomini dieci volte più delle donne, anche in paesi in cui il fumo di sigaretta è egualmente diffuso nei due sessi. Tosse persistente, sputo sanguigno e perdita di peso sono i tre segni che fanno pensare al tumore maligno del polmone, che si diagnostica ricorrendo alla radiografia del torace e all'esame microscopico dello sputo. Le possibilità di terapia non sono molto brillanti, poiché ancora oggi le statistiche ci dicono che la mortalità per queste forme è altissima (80 per cento). Tuttavia qualcosa si può fare per aumentare la sopravvivenza e per lenire le sofferenze, raramente per raggiungere una vera guarigione: nei carcinomi polmonari spinocellulari e negli adenocarcinomi si può operare, invece nei carcinomi indifferenziati a grandi e a piccole cellule (sono queste le quattro forme patologiche più frequenti) le cure sono prevalentemente radiologiche e farmacologiche. Esistono anche rari tumori polmonari benigni, curabili chirurgtaffiente.

POLMONE DA STASI

POLMONE DA STASI polmone congestizio per malattie cardiocircolatorie varie. Molti vizi valvolari portano al polmone da stasi, ma in particolare la stenosi mitralica: è in questa valvulopatia che si verifica difficoltoso passaggio della colonna sanguigna attraverso il pertugio atrioventricolare (valvola mitralica), determinandosi stasi a monte delle vene polmonari. Si ha così congestione nel contesto del tessuto polmonare. Anche la miocardiopatia arteriosclerotica grave, e tutte le cardiopatie che comportano evoluzione verso la totale insufficienza cardiocircolatoria, possono indurre polmone da stasi. Il malato respira a fatica, sia a riposo che nel movimento. Talvolta si verificano episodi di edema polmonare acuto. Ascoltando con lo stetoscopio il polmone del paziente, si avvertono tipiche bolle sotto forma di rantoli bollari, che ricordano il rumore di una pentola che bolle. Un sintomo è provocato dalla congestione a livello alveolare polmonare determinata dalla stasi sanguigna. Le radiografie del torace mettono in evidenza un aumento della trama broncovasale,' e spesso focolai di addensamento (come quelli che si riscontrano nelle broncopolmoniti).

POLLUZIONI NOTTURNE

POLLUZIONI NOTTURNE emissioni spontanee di liquido spermatico nel corso del sonno. Frequenti nei ragazzi, nei giovani e in chi è costretto dalle circostanze alla continenza, consentono l'evacuazione del surplus di liquido seminale; infatti, in età adulta, la produzione di sperma è continua, per cui esso si accumula nelle ampolle dei canali deferenti e nelle vescicole seminali; quando non viene evacuato con il coito o la masturbazione, si verificano espulsioni automatiche. Raramente in campo sessualogico qualcosa è stato così bistrattato e posto sotto accusa, a torto, come questo innocuo fenomeno fisiologico. La religione cristiana ha per molto tempo considerato con estremo sospetto questa perdita del prezioso liquido al di fuori del luogo deputato alla procreazione, sua meta obbligatoria. In ogni caso la polluzione notturna non può essere considerata né un appagamento, né un valido equivalente del coito. Per quanto nella giornata seguente i desideri siano spesso meno forti, appare determinante il fatto che la polluzione notturna si incarichi dell'evacuazione dei prodotti sessuali (come avviene nell'ovulazione femminile) senza procurare il piacere richiesto dalla funzione erotica. Poiché spesso si produce indipendentemente da qualunque sogno voluttuoso e perfino, a volte, senza erezione, la polluzione notturna deve considerarsi un fenomeno banale, privo di motivazioni psicologiche e di conseguenze.

POLLINOSI

POLLINOSI, allergia ai pollini, detta anche comunemente febbre da fieno, con denominazione però impropria poiché la febbre non esiste quasi mai, e perché si può essere allergici ai polli- ní di qualsiasi pianta. Si hanno crisi di congestione nasale, accompagnate da starnuti e da abbondante emissione di una secrezione pressoché acquosa. Spesso anche gli occhi sono lacrimosi. Molte volte vi è anche tosse, oppure accessi d'asma, essendo interessati pure i bronchi. Caratteristica è la ricorrenza stagionale, corrispondente cioè all'epoca della fioritura. Sono colpiti di preferenza i soggetti in giovane età. In modo particolare sono da incolpare le graminacee (segala, granoturco), piante a fiori odorosi come la rosa ed il giglio, piante ad alto fusto come il tiglio, il salice, il platano, urticacee come la parietaria. Non tutti i pollini, però, producono allergia: per esempio il polline dei pini, che pure è abbondante e rimane a lungo nell'aria, dà solo eccezionalmente la pollinosi. L'epoca della fioritura è variabile, può andare da febbraio a luglio o agosto nell'Italia settentrionale (la parietaria ha un periodo di fioritura molto lungo, da marzo a ottobre), ma nelle regioni meridionali può cominciare fino da gennaio. Merita anche particolare attenzione, come produttrice di pollini allergizzanti, la vegetazione che si sviluppa sui terreni abbandonati, sulle macerie, sui vecchi muri e sui tetti, e che costituisce la cosiddetta flora ruderale. La contaminazione dell'aria in pollini non rimane localizzata nella zona di produzione: le correnti aeree possono diffonderla anche a grande distanza. Ad ogni modo le maggiori probabilità di manifestazioni allergiche si hanno nelle zone dove sono abbondanti le piante capaci di immettere nell'atmosfera grandi quantità di pollini, poiché la contaminazione diminuisce progressivamente quanto più ci si allontana dal luogo di produzione. Comunque nessuna zona è risparmiata; gli abitanti della città sono esposti quanto quelli della campagna, anzi forse di più, perché i loro bronchi sono irritati in maniera permanente dai vapori e dai fumi delle industrie, degli impianti di riscaldamento e dei motori a scoppio. Le crisi sono esacerbate dal freddo e attenuate invece dalla pioggia e dall'assenza di vento, che diminuiscono la densità dei pollini nell'atmosfera. Naturalmente la pollinosi colpisce soltanto le persone che hanno una particolare sensibilità (l'allergia, appunto) ai pollini. Alcune sono sensibili a molte specie di pollini, altre a poche, raramente a una o due soltanto. La sensibilità è sovente tale che la quantità di polline sufficiente per produrre le manifestazioni morbose può essere piccolissima. Si è calcolato che l'ingresso nelle cavità nasali di una quarantina di granelli di polline, e anche meno, basta talora a suscitare disturbi, ma in pratica il polline realmente aspirato è di gran lunga più abbondante. La terapia della pollinosi può essere aspecifica, nel senso cioè di ridurre in maniera generica la sensibilità ai pollini mediante i farmaci antistaminici, eventualmente associati con prednisone (un derivato del cortisone). Ma è sempre preferibile la terapia specifica, la quale deve essere preceduta dall'identificazione dei pollini verso i quali si è sensibili. Si ricorre a tale scopo a soluzioni di estratti dei pollini, che vengono applicate in piccola quantità diluita sulla cute del braccio, o iniettate nella cute: in corrispondenza di quelle verso le quali esiste ipersensibilità compaiono in pochi minuti arrossamento e gonfiore, simili ai pomfi dell'orticaria. Si passa allora alla desensibilizzazione mediante iniezioni sottocute di piccole dosi dei pollini identificati, che vengono poi aumentate progressivamente, in modo da vaccinare l'organismo.

POLIPOSI NASALE

POLIPOSI NASALE, degenerazione benigna edematosa della pituitaria, intendendosi con pituitaria non soltanto la mucosa nasale, ma anche quella che tappezza le cellule etmoidali ed i diversi seni paranasali; la poliposi non costituisce pertanto una neoformazione ed è più esatto usare il termine di poliposi nasosinusale. L'eziologia è oscura; la poliposi può essere il risultato di una infezione attenuata dei seni paranasali e particolarmente dell'etmoide, infezione non riconosciuta, il cui inizio può rimontare alla prima infanzia; certamente importante è il terreno costituzionale, diatesico ed allergico; l'infiltrazione edematosa trova delle condizioni anatomiche favorevoli per la struttura lassa, a larghe maglie, del tessuto sottomucoso e per la sottigliezza dell'epitelio di rivestimento; queste condizioni si verificano particolarmente a livello dell'etmoide, che con il seno mascellare costituisce la zona di elezione della degenerazione edematosa; il polipo rappresenta semplicemente l'infiltrazione edematosa esuberante ed il suo peduncolo si forma sotto l'azione del suo peso, come la sua forma si modella a contatto delle superfici ossee vicine. La sintomatologia è caratterizzata da ostruzione nasale progressiva, che può accompagnarsi a cefalea e ad anosmia; in alcuni casi vi sono un'accentuazione dei riflessi nervosi, ipersecrezione a carattere acquoso e crisi parossistiche di sternuti; la sintomatologia si accentua in presenza di forte umidità atmosferica e per ogni causa di congestione cerebrale, sia di origine digestiva che ovarica. Obiettivamente la rinoscopia anteriore rivela la presenza della massa poliposa che ha aspetto liscio, gelatinoso, traslucido, di colorazione bianco-grigiastra; al tocco la massa si mostra insensibile, di consistenza gelatinosa, e non sanguigna; la rinoscopia posteriore rivela la presenza di polipi quando essi debordano dalle coane; al completamento diagnostico provvede l'esame radiologico dei seni paranasali. L'evoluzione è abbastanza lenta ma inarrestabile quando non si provveda all'asportazione chirurgica; sono comunque facili e numerose le recidive; onde evitarle per quanto possibile, o quanto meno procrastinarle, l'intervento chirurgico deve essere radicale; all'asportazione dei polipi si associa pertanto la resenzione della testa del turbinato nasale medio, l'apertura dell'etmoide anteriore ed il curettage del seno mascellare.

POLIPOSI LARINGEA

POLIPOSI LARINGEA neoformazione benigna che ha sede sulle corde vocali, come i noduli laringei, ma di maggiori dimensioni rispetto a questi, con base di impianto sessile o peduncolata; istologicamente si tratta più spesso di fibromi e talora di papillomi; questi sono più frequenti nell'infanzia, mentre i primi si osservano pressoché esclusivamente nell'adulto; unico sintomo la disfonia, che può accentuarsi ed essere accompagnata da dispnea nelle forme peduncolate, le quali possono essere proiettate durante espirazione forzata o accessi di tosse al di sopra della glottide. La terapia è esclusivamente chirurgica e consiste nell'asportazione in laringoscopia indiretta; solo neoformazioni particolarmente voluminose necessitano di asportazione per via esterna mediante laringofissura.

POLIPOSI ESOFAGEA

POLIPOSI ESOFAGEA neoformazione a carattere benigno, peduncolata, ad impianto sulla mucosa esofagea a vario livello di altezza, che può avere dimensioni simili ad una mandorla o ad una noce, eccezionalmente quelle di un mandarino; istologicamente può essere un fibroma o un mioma o un lipoma; la sintomatologia è nulla fino a che la neoformazione non raggiunge dimensioni tali da provocare disfagia; se il peduncolo è lungo la neoformazione può essere proiettata in faringe durante i conati di vomito e provocare una crisi asfittica.

POLIPO

POLIPO termine di significato molto generico che indica quelle neoformazioni di tessuto che hanno l'aspetto clinico di rilievi protrudenti da una superficie, alla quale sono collegati da un peduncolo. I polipi sono costituiti da diversi tessuti da caso a caso: talvolta sono formati da strutture ghiandolari esuberanti (polipi adenomatosi), talaltra da strutture fibrose o vascolari (polipi fibroangiomatosi), talaltra da tessuto grassoso (polipi lipomatosi), talaltra ancora da tutti i costituenti della mucosa da cui sono insorti (polipi mucosi); nella massima parte dei casi si tratta di neoformazioni perfettamente benigne, molto raramente carcinomatose: questa evenienza si osserva soprattutto nell'intestino (polipi cancerizzati); la distinzione tra forme benigne e maligne è possibile con l'esame microscopico della neoformazione, che va sempre fatto dopo l'intervento chirurgico di asportazione. Se la insorgenzadi polipi è possibile in tutte le sedi, a seguito di cause infiammatorie, irritatine, o su basi tumorali, l'osservazione di essi è particolarmente frequente in determinate sedi: nell'intestino sono assai frequenti i polipi adenomatosi su basi tumorali familiari (poligi familiari congeniti); nella laringe sono di facile osservazione polipi fibroangiomatosi dovuti a sforzi vocali (polipi dei cantanti e degli avvocati); nel canale cervicale dell'utero sono frequentissimi i polipi mucosi dovuti a fatti irritativi e infiammatori. I polipi si ulcerano facilmente e quindi sanguinano, e perciò richiamano presto l'attenzione del malato e del medico, che in genere li cura asportandoli, o cauterizzandoli. Tra tutti i polipi, quelli che più debbono preoccupare sono gli intestinali, sovente multipli (poliposi intestinale), che facilmente vanno incontro a trasformazione maligna e che quindi debbono essere radicalmente asportati (se sono molto numerosi, conviene addirittura asportare tutto il tratto di intestino interessato dalla proliferazione poliposa); il riconoscimento dei polipi intestinali è possibile con un esame radiografico, o con una indagine endoscopica.

POLIOMIELITE ANTERIORE ACUTA

POLIOMIELITE ANTERIORE ACUTA o pa ralisi infantile, o malattia di Heine-Medin-Monteggia; malattia acuta epidemica dovuta ad un virus che attacca le cellule nervose che determinano 13 mobilità volontaria e che sono situate nel midollo spinale. Ne consegue spesso una paralisi (perdita della motilità volontaria) difficilmente reversibile. La malattia è comune negli emisferi settentrionali, più frequente da maggio a settembre. Si propaga nel corso di epidemie per mezzo di portatori sani o di persone colpite da forme lievi indiagnosticabilí nella pratica corrente. Sono colpiti prevalentemente i bambini fino a tre anni, né sono risparmiate le età successive, ivi comprese la giovinezza e la maturità. Esistono però forme abortive, la cui diagnosi è difficile ad essere posta, per la formulazione delle quali occorre che si verifichino casi di epidemia intercorrente; sono possibili in queste forme sintomi gastrointestinali, faringei o pseudoreumatici. Esistono forme non paralitiche, pure di difficile diagnosi, con sintomi nervosi ( cefalea, vomito e rigidità nucali) senza che si arrivi ad una paralisi. Vi è poi una poliomielite paralitica, con sintomi che partono dal midollo spinale, preceduta o no (in quest'ultima evenienza i soggetti interessati sono lattanti) da sintomi indeterminati ( febbre, sudori profusi, tremori), dolori e contratture muscolari. Esiste infine una poliencefalite, in cui le paralisi colpiscono i nervi cranici, con o senza interessamento der midollo spinale, e prevalgono i disturbi della deglutizione. Nei casi di poliomielite paralitica possono coesistere gravi disturbi respiratori per compromissione del diaframma e dei muscoli intercostali, od ostruzione della faringe per paralisi faringea o palatina. Le paralisi possono colpire tutti i muscoli volontari, in maniera simmetrica o asimmetrica, e comparire anche quando la febbre e i sintomi non specifici sono scomparsi. La diagnosi può essere facilitata dalla puntura lombare (si riscontrano anomalie nel liquido cerebrospinale) e dall'esame elettrico delle masse muscolari divenute flaccide. La dieta è libera. Occorrono l'isolamento del malato a domicilio o in ospedale, la disinfezione dell'ambiente, il riposo a letto, con impacchi caldi umidi (i panni di lana, riscaldati in acqua bollente e strizzati, vanno applicati nelle sedi di tensione e dolore muscolare), bagni caldi generali, calore secco fornito da lampade ( non bisogna usare contemporaneamente calore secco e umido), fisioterapia (mobilizzazione passiva in primo tempo; movimenti attivi e massaggi quando non esiste dolore). I disturbi respiratori esigono l'uso di mezzi ospedalieri (polmone d'acciaio, respiratori a corazza, letto oscillante, stimolazione elettrica del nervo frenico, tracheotomia, alimentazione con sonda, ecc.). La prognosi è riservata, almeno per il periodo in cui esistono dolori. Le forme con interessamento centrale sono molto gravi. La malattia va denunziata obbligatoriamente alle autorità sanitarie.

POLIOENCEFALITE

POLIOENCEFALITE, o malattia acuta emorragica superiore di Wernicke, malattia discussa, conseguente ad una intossicazione ( abitualmente alcoolica), che colpisce sia la sostanza grigia (cellule), che la sostanza bianca ( fibre) del sistema nervoso centrale, particolarmente nella zona profonda, detta mesencefalo, con molte piccole emorragie. Si tratta di un'encelalíte (vedi), che si manifesta con vomito, cefalea, blocco dei muscoli del collo, parali- si dei muscoli innervati da alcuni rami del nervo oculomotore comune ( terzo paio di nervi cranici ), difficoltà a camminare ( atassia) , comparsa di movimenti involontari di tipo coreico o atetosico. I disturbi psichici iniziano con confusione e sfociano rapidamente in demenza. Dopo pochissime settimane il malato cade in coma e muore. Rissimamente guarisce (ma i disturbi oculari rimangono). La malattia è facilmente confusa con la meningite o con la nevrite dei nervi cranici oculomotori. La polioencefalite non è sensibile, purtroppo, ad alcuna delle terapie oggi in uso.

POLINEVRITE

POLINEVRITE malattia dei nervi periferici, ratterizzata da una infiammazione con infiltrazione di globuli bianchi nel tessuto connettivo che costituisce il fascio nervoso, aumento della vascolarizzazione, distruzione delle fibre nervose (di moto e di senso) del nervo, a cui consegue una degenerazione del muscilo ( degenerazione grassa, disintegrazione delle fibre muscolari, aumento del tessuto connettivo perimuscolare). La polinevrite infiammatoria si mescola alla « nevritide » (che è una forma solo degenerativa), ma è più frequente nel corso di malattie infettive. Si ha un ingrossamento del nervo, che arrossa, diventa edematoso e presenta varie piccole emorragie. La polinevrite si presenta con paralisi flaccide ai muscoli ( soprattutto a quelli delle mani e dei piedi), abolizione dei riflessi osteotendinei, dolori spontanei sia in corrispondenza dei nervi che dei territori a cui i nervi si riferiscono, con alterazioni della sensibilità. Da un punto di vista clinico si può avere una forma mista (che riguarda sia le fibre di senso che quelle di moto), una forma sensitiva, una forma motoria ed una forma pseudotabetica. Nelle polineuriti tossiche (alcoolismo, piombo, mercurio, ecc.) è quasi sempre presente un disturbo anche delle attività psicologiche. La difterite, il tifo, la brucellosi, la sifilide, la parotite, la tubercolosi, la rabbia, ecc., sono le cause più frequenti di polinevrite infettiva. Il diabete, la gotta, la nefrite, l'alcool, il piombo, il mercurio, l'arsenico, i sulfamidici, la steptomicina e la stessa gravidanza, sono le principali cause che danno origine ad una polinevrite tossica. Infine si può avere polinevrite da carenze alimentari e vitaminiche (soprattutto da insufficienza di vitamina B,) . La terapia farmacologica si basa sulla somministrazione del complesso B a dosi sostenute, ma (oltre alla terapia causale nelle forme infettive e alla eliminazione dei veleni in quelle tossiche) è opportuna una leggera fisioterapia (massaggi e mobilizzazioni passive) per evitare atrofie e contratture muscolari.

POLIMIOSITE

POLIMIOSITE, malattia dei muscoli che colpisce più frequentemente le donne di mezza età; consiste in un indebolimento della muscolatura delle spalle e del bacino, dovuta a necrosi delle fibre muscolari, che vengono sostituite da tessuto connettivo ( vedi dermatomiosite). La causa di questa malattia è ignota. Il muscolo sembra essere inizialmente infiammato, ma il turgore, l'edema, l'arrossamento e la febbre possono mancare; La sintomatologia consiste in una diminuzione della forza. Spesso si ha anche difficoltà' nella deglutizione (disfagia). Talora accade'che dopo qualche tempo il muscolo si ripristini. La polimiosite deve essere ritenuta una collagenopatia di origine forse autoimmune.

POLIMENORREA

POLIMENORREA e che significa eccessiva frequenza di cicli mestruali, ovverossia successione di cicli corti. Nella polimenorrea il mestruo è normale, ma il suo ritmo di apparizione è di 16-17 giorni o poco più. Cicli corti sono abbastanza frequenti in donne per ogni altro verso normali, ma c'è da dire che la polimenorrea è la meno frequente fra le irregolarità mestruali (4,3 per cento). È anche accertato che la polimenorrea predilige gli inizi della vita mestruale e l'età premenopausale. La polimenorrea riconosce anche cause disendocrine come l'ipotiroidismo, o può accompagnarsi a casi di lesioni pelviche e, principalmente, a malattie infiammatorie e fibromi uterini. Abbastanza frequentemente (10 per cento dei casi) è associata alla menorragia (mestrui profusi e prolungati); non raramente alla sterilità. La patogene- sii è molto discussa: mentre molti Autori invocano una prematura disintegrazione del corpo luteo con un accorciamento della IIa fase (luteinica), che impedisce una buona maturazione dell'endometrio che deve accogliere l'uovo fecondato (Schróder e Fluhmann), altri (Knaus) sostengono invece che l'accorciamento è proprio della Ia fase (follicolinica), per colpa di una insufficienza estrogenica. Tietze Philipp ed altri ancora cercano di conciliare le due opposte tesi, concludendo che entrambe le cause, di volta in volta e a seconda dei casi, possono provo- care la polimenorrea. La diagnosi è facile perché si desume dall'anamnesi, sempreché la paziente, giudiziosamente,tenga un calendario mestruale. Altri sussidi diagnostici vengono dalla registrazione della temperatura basale (cicli ovulari od anovulari) e dalla biopsia dell'endometrio (secretivo o proliferativo), dalla colpocitologia e dai dosaggi ormonali, onde depistare quale delle due fasi del ciclo, nel caso in esame, sia raccorciata, ed a causa di quale deficienza ormonale. L'unica differenziale è quella che si pone, in presenza di mestrui molto scarsi, con l'intermestrual Bleeding, cioè con piccole emorragie che accompagnano l'ovulazione. In tali casi la paziente sembra soffrire di polimenorrea, ma la verità è che soltanto ogni seconda perdita è vera mestruazione, mentre il sanguinamento che la precede è uno spotting ovulatorio. La prognosi è, ovviamente, favorevole. Al di fuori dei casi ricordati, i cicli corti possono essere anche tollerati, entro certi limiti.

POLIGLOBULIE

POLIGLOBULIE condizioni morbose nelle quali c'è un aumento permanente e rilevante dei globuli rossi del sangue. La vera poliglobulia corrisponde alla malattia indicata come policitemia; le altre sono poliglobuliarelative, ossia non aventi come causa l'eccessivo sviluppo del midollo osseo, tipico della policitemia. Le poliglobulia relative si producono negli stati di ispessimento del sangue per perdita d'acqua (vomiti, diarree), in certe intossicazioni (ossido di carbonio, fosforo), in affezioni croniche polmonari o cardiache con deficiente ossigenazione del sangue (enfisema, bronchiectasie, vizi congeniti del cuore), nel morbo di. Cushing, in malattie renali (rene policistico, idronefrosi, cisti renali), in alcuni tumori (carcinorna del fegato, fibroma uterino, adenoma surrenale, ipernefroma), infine nel soggiorno in alta montagna. In tutte queste circostanze l'aumento dei globuli rossi è di solito più modesto che nella policitemia, e non vi è aumento dei globuli bianchi e delle piastrine. I sintomi sono: arrossamento intenso, specialmente al volto ed alle mani, della cute, che acquista spesso un colorito rosso-vermiglio o rosso-cianotico, e delle mucose, in particolare della congiuntiva degli occhi; dolori di vario tipo e di varia sede; formazione di varici, flebiti, trombosi venose; senso di peso e di calore (al capo, mal di testa, eccitazione psichica, tendenza alle emorragie nasali, vertigini, disturbi visivi, stanchezza, affanno di respiro, ecc. La terapia consiste in salassi eventualmente ripetuti, ma fondamentalmente deve essere diretta a curare le condizioni morbose sopra ricordate, che sono all'origine della poliglobulia.

POLIFAGIA

POLIFAGIA, termine che significa, alla lettera, nutrizione con sostanze diverse; è dunque polifago l'uomo, sono polifagi gli insetti che si nutrono con svariate piante anziché essere vincolati ad una sola, ecc. Questo termine però viene usato abitualmente per indicare l'eccessiva ingestione di alimenti determinata da un'intensa e abnorme sensazione di fame, provocata da cause varie. Una di queste è l'alterazione dell'istinto della fame di origine psichica, frequente nelle forme depressive, nelle nevrosi ossessive e fobiche, nella schizofrenia, e la cura è essenzialmente psicoterapica. Altre volte la polifagia è conseguenza di particolari stati morbosi, come il diabete, o di, infestazioni intestinali come le elmintiasi (presenza nell'intestino di vermi, per esempio le tenie). Questa iperalimentazione, quando sia prolungata; si ripercuote dannosamente sul ricambio. Bisognerà dunque accertarne la causa primaria e curarla. Un'azione moderatrice della polifagia è ottenibile ricorrendo a certe sostanze (farina di carrube, mucillagini) che, aumentando di volume nello stomaco, lo riempiono e danno un senso di sazietà, oppure a speciali preparazioni dietetiche le quali, con un valore calorico molto basso e controllato, suscitano anch'esse un senso di sazietà. Servono inoltre allo scopo i farmaci anoressizzanti (depressori dell'appetito, per esempio l'arrifetamina). Nei bambini la polifagia è particolarmente dannosa e occorre quindi porre un freno alle richieste alimentari eccessive, prima di tutto stabilendo una regola nella qualità dei cibi: limitare gli idrati di carbonio (pane, pasta, riso, zucchero, dolci) ed i grassi (latte, burro), e abbondare in compenso nelle proteine (carne magra, pesci magri, legumi), nelle verdure e nella frutta. Naturalmente anche la quantità complessiva degli alimenti sarà sottoposta ad un'opportuna riduzione. A questo proposito non si possono stabilire schemi fissi: ci si regolerà secondo la tolleranza del bambino alle restrizioni e secondo il comportamento del peso, procedendo con prudenza e per gradi.

POLIDRAMNIOS

POLIDRAMNIOS, e che significa eccessiva e patologica produzione di liquido amniotico. Si parla di polidramnios quando il liquido è in quantità di almeno 1500 centilitricubi; sono ricordati in bibliografia ostetrica casi in cui nel sacco amniotico erano contenuti più di 15-20 litri di liquido. L'aumento del liquido può avvenire in modo rapido o lento, per cui si distinguono due tipi di polidramnios: acuto e cronico. Il primo è raro; il secondo, che è quasi la regola, può diventare in certi casi acuto. Il polidramnios può insorgere in qualunque momento della gravidanza, ma è più frequente dal quarto mese in poi. La frequenza con la quale avviene il polidramnios è calcolata attorno all'1 per cento dei parti ed i caratteri fisico-chimici del liquido amniotico sono quelli normali, talune varianti non essendo costanti né notevoli. Il meccanismo di insorgenza del polidramnios è un problema tuttora discusso. A favore dell'ipotesi che sia causato da un eccesso di trasudazione dei vasi ovulari sta la considerazione che esso si nota con grande frequenza nei casi di lesioni funicolari ( attorcigliamenti, tumori, trombosi e flebiti dei vasi propri, inserzione velamentosa del funicolo), néi casi di lesioni placentari ( tumori, placentiti luetiche, obliterazioni dei villi), nelle lesioni delle membrane ed ogni qualvolta preesistono i vasi amniocoriali, nelle lesioni cardiovascolari del feto e nelle sue lesioni viscerali, nonché nelle mostruosità fetali (anencefalia, spina bifida, eviscerazioni, ecc.). La trasudazione dai vasi materni è avvalorata come causa dalla frequenza del polidramnios negli stati idremici della gravida (nefrite), nelle malattie del sangue (leucemia), nelle anemie croniche, nelle malattie organiche che danno stasi uterina (cardopatie), e in certe malattie metaboliche (diabete). La sintomatologia del polidramnios è ricca: l'addome della gravida è teso, globoso ed aumentato di volume più di quanto non consentirebbe l'epoca di gravidanza; frequentemente esiste edema sovrapubico; la fluttuazione è molto distinta in ogni senso; il feto è facilmente palleggiabile e, quando il polidramnios è enorme, si può anche non percepire alcuna parte fetale. Il battito cardiaco fetale può anche non essere apprezzato. Il collo uterino presenta modificazioni corrispondenti ad epoche di gestazione più avanzate. Si apprezza una aumentata tensione del sacco ovulare; il segmento inferiore uterino è assottigliato, espanso, e la parte presentata è elevata e mobile. Nei polidramnios che raggiungono volumi considerevoli l'azione meccanica dell'utero, abnormemente ingrandito, sulle parti vicine, rende ragione di una serie di disturbi particolari: dolori per stiramento sui legamenti, dispnea, disturbi di circolo, edemi, varici, disfunzioni di vescica ed intestino, ecc. La diagnosi è abbastanza facile. Talora la differenziale va posta con la gravidanza gemellare, con la mole vescicolare, con l'ascite, con i cistomi ovarici. La prognosi è variabilissima. In molti casi la gravidanza non giunge a termine a causa della rottura spontanea delle membrane. Il travaglio è condizionato dall'eccessiva distensione dell'utero. Si possono avere inerzia uterina, distacco precoce di placenta, emorragie, presentazioni ano- male con procidenza di arti o di funicolo, parti precipitosi, collassi materni « ex vacuo ». A causa di ciò la mortalità fetale, anche escludendo i feti premorti o malconformati, è relativamente alta. La terapia dei casi lievi è di controllo e di attesa vigilata. Talora i diuretici possono servire ad attenuare la tensione del liquido amniotico. L'ovulocentesi (evacuazione di 100-200 centimetri cubi del liquido amniotico eccedente, mediante puntura aspiratrice attraverso le pareti addominali) può servire, ma deve essere ripetuta frequentemente, e comunque è sintomatica, perché combatte un effetto senza influire sulla causa. Molto spesso si è costretti ad interrompere artificialmente la gravidanza per l'eccessiva produzione di liquido amniotico (polidramnios acuto), che rischia di sacrificare inutilmente la madre quando la prognosi per il feto è pessima (in molti casi il feto è già morto, o mostruoso). Si pratica allora la puntura bassa delle membrane ovulari, con evacuazione lenta del liquido amniotico, ed induzione del travaglio.

POLIDIPSIA

POLIDIPSIA, intensa e anormale sensazione di sete. La necessità di bere insorge dall'impoverimento d'acqua negli umori circolanti e nelle cellule, e la sensazione della sete è regolata da un apposito centro nervoso situato nell'ipotalamo, una zona del cervello. Il calore ambientale, i cibi molto salati o aromatizzati, la febbre elevata, l'abbondante sudorazione, l'elevata eliminazione d'urina, la diarrea, le emorragie, hanno come conseguenza un aumento della sete, nella maggior parte dei casi per compensare la perdita di liquidi organici. Ma quando il bisogno di bere è persistente e tormentoso, anche di notte, la sete acquista un carattere patologico di cui bisogna cercare la spiegazione. Uno dei motivi può essere il diabete, del quale la sete morbosa è uno dei sintomi precoci; un altro può essere il diabete insipido, da non confondere col precedehte, causato dall'insufficiente produzione d'un ormone dell'ipofisi che regola il ricambio dell'acqua. Anche squilibri ormonici della tiroide o delle paratiroidi possono provocare aumento della sete, e così pure alcune malattie renali. Infine la polidipsia può essere dovuta ad un irregolare funzionamento del centro della sete nell'ipotalamo, talvolta per motivi puramente psicologici, affettivi, come accade talora in bambini ansiosi. In ogni caso occorre dunque scoprire la causa della sete smodata, perché solo in questo modo si potrà intervenire efficacemente.

POLIDATTILIA

POLIDATTILIA, malformazione congenita non raramente di carattere ereditario e familiare, contrassegnata dalla presenza di dita soprannumerarie, dovuta a un disturbo di sviluppo degli arti. Può presentarsi indifferentemente in maschi e femmine. L'alterazione si mostra più frequentemente con pollice doppio o triplo, con mignolo doppio, con la contemporanea comparsa di dita soprannumerarie al pollice e al mignolo. È stato riscontrato anche il raddoppiamento a carico delle tre dita intermedie.

POLICITEMIA

POLICITEMIA, o morbo di Vaquez, malattia caratterizzata dall'aumento di tutte le cellule del san- gue, e quindi dall'instaurarsi di una vera e propria pletora, cioè di un'accresciuta quantità della massa sanguigna. Tale aumento è la conseguenza di un eccessivo sviluppo del midollo osseo, nel quale sono prodotti appunto gli elementi cellulari del sangue. La causa è ignota. Sono colpiti di preferenza soggetti di sesso maschile, nell'età media della vita. I sintomi sono: colorito rosso vivo della cute, stanchezza, mal di capo, vertigini, sonno- lenza, disturbi della vista, ronzio agli orecchi, irritabilità, dolori agli arti, suscitati specialmente dal calore del letto, disturbi dell'apparato digerente (inappetenza, digestione laboriosa, stitichezza o diarrea, nausea, vomito), ipertensione arteriosa, emorragie cutanee per traumi anche lievi, aumento di volume della milza e del fegato. L'esame del sangue dimostra l'aumento dei globuli rossi fino a 14-15 milioni per mmcubo; sono aumentati anche, come si è detto, i globuli bianchi (1030.000 per mmcubo) e le piastrine. Il decorso della malattia, lentamente progressivo, può essere complicato da emorragie (naso, stomaco, intestino, polmoni, utero, cervello), da trombosi, ecc. Si distinguono alcune varietà cliniche, quali la forma ipertonica di Gaisbók, con ipertensione arteriosa, aumento di volume del cuore, tendenza alle emorragie cerebrali; la forma di Mosse, con cirrosi del fegato; la policitemia familiare di Ni- chamin, con ripetizione di casi nella stessa famiglia.

PNEUMOTORACE NEONATALE

PNEUMOTORACE NEONATALE presenza di gas nel sacco pleurico del neonato, con grave compromissione della funzione respiratoria, dovuta a rottura degli alveoli polmonari nel corso dei primi atti respiratori, o a manovre strumentali a carico dell'apparato respiratorio. Compaiono cianosi (cute di colorito violaceo) e gravi difficoltà respiratorie. Le manovre percussorie sul cuore mettono in evidenza un suono cupo. È necessario l'esame radiografico, senza di cui il disturbo può essere scambiato con un'ernia diaframmatici o con un polmone cistico.

PNEUMOTORACE

PNEUMOTORACE affezione morbosa determinata da una raccolta d'aria nella cavità polmonare; il pneumotorace ha una sintomatologia proporzionata alla gravità e all'estensione del processo (dolore toracico, tosse secca e stizzosa, dispnea, modificazioni acustiche o plessimetriche rilevate dal medico all'ascoltazione e alla percussione, spostamento del cuore se coesiste versamento pleurico). L'esame radiografico ripetuto fornisce utili ragguagli sulla formazione e sull'estensione del fenomeno morboso. Qualche volta la radiografia mette in evidenza anche manifestazioni inavvertite di pneumotorace. Il versamento d'aria nel cavo pleurico può essere parziale (quando nella pleura vi sono aderenze che circoscrivono la raccolta di gas) o totale. Il pneumotorace può essere spontaneo (in soggetti giovani, per rottura di una bolla di enfisema o in rapporto ad un'ostruzione polmonare), traumatico, terapeutico (a seguito di insufflazione d'aria nel cavo pleurico praticato allo scopo di determinare il riposo del polmone, in collassoterapia). In altri casi sono responsabili della malattia una cisti idatidea o affezioni broncopolmonari acute o croniche (setticemie, processi broncopolmonari acuti, empierci, ascessi, gangrena e tubercolosi); infine ne possono essere causa tumori esofagei, silicosi, antracosí, pneumoconiosi, interventi chirurgici sulla tiroide o di scollamento di aderenze pleuriche. La comunicazione pleuropolmonare può essere regolata anche da una condizione anatomica per cui si forma un'apertura a valvola; se la valvola impedisce la fuoriuscita d'aria nelle vie polmonari la malattia diventa più grave, e provoca lo sposta- mento degli organi mediastinici; se il meccanismo valvolare permette la fuoriuscita d'aria nei canali dell'albero respiratorio la guarigione avviene invece più rapidamente. Coesistono spesso versamenti sierosi (idropneumotorace) o purulenti (piopneumotorace). Il riposo a letto per circa un mese è sufficiente nella cura delle forme spontanee. Negli altri casi, occorrono una terapia sintomatica (antidolorifici, ossigeno, farmaci antidepressivi del sistema respiratorio, aspirazione del gas quando è presente in quantità esagerata) e una terapia specifica in rapporto alle cause che hanno determinato l'insorgere del pneumotorace.

PNEUMOPERITONEO

PNEUMOPERITONEO versamento gassoso nella cavità peritoneale, prodotto da varie malattie intestinale o consecutivo a iniezioni d'aria nel peritoneo (praticate per migliorare gli interventi di collassoterapia pleurica o nella cura di caverne tubercolari del polmone). Nella seconda ipotesi la guarigione è spontanea; nei casi determinati da malattie addominali la terapia è in rapporto alle varie cause (malattie gastriche ed intestinali, rottura di formazioni cistiche idro-pneumo-ematiche che accompagnano le cisti idatidee, ecc.

PNEUMOPERICARDIO

PNEUMOPERICARDIO infiltrazione patologica di aria che si verifica nel sacco pericardico. t analogo al pneumotorace, che si ha nelle lesioni o infiammazioni perforanti della pleura. Anche qui, l'aria si fa strada nel pericardio, che normalmente non dovrebbe contenerne. Sono lesioni dell'esofago o pleuriti contigue al pericardio che determinano infiltrazione aerea.

PNEUMOCONIOSI

PNEUMOCONIOSI l'inalazione di polveri di comune uso industriale (silicio, amianto, alluminio, ferro, metalli duri, carbone, fibre vegetali, ecc.) può essere causa di una particolare malattia polmonare, la pneumoconiosi, una delle tecnopatie oggi più diffuse. Provocano in genere tale forma morbosa le polveri inorganiche di microscopiche proporzioni (tra 5 e 0,5- micron di diametro) che raggiungono facilmente i bronchioli e gli alveoli dei polmoni, dando avvio a quelle alterazioni del tessuto polmonare che rappresentano la caratteristica della forma morbosa. A seconda delle polveri si hanno differenti forme cliniche di pneumoconiosi, le più comuni delle quali sono l'alluminosi (da polveri di alluminio), l'antracosí (da carbone), la baritosi (da bario), la berillosi (da berillio), la bissinosi (da cotone), la calicosi (da granito), la siderosi (da ferro), la silicatosi (da silicati), la silicosi (da silicio), la stannosi (da stagno), la suberosi (da sughero), la tiopneumoconiosi (da acido solforico), ecc. Al rischio di contrarre tali malattie professionali sono ovviamente esposte molte categorie di lavoratori, dai minatori addetti all'estrazione dei metalli, agli operai che usano queste sostanze per la loro attività industriale, nonché a tutti coloro che in qualche modo con le polveri sopra ricordate vengano, per motivi della loro attività, a contatto. Le alterazioni del tessuto polmonare e degli ili, cui fa seguito fibrosi ed enfisema, e in taluni casi (come nella silicosi) nodulazíone. Clinicamente si possono registrare dolori toracici, tosse, abbondante escreato, astenia e dimagramento nella fase iniziale; dispnea, insufficienza respiratoria progressivamente crescente nella successiva evoluzione; infine compromissione cardiocircolatoria (con cuore polmonare e scompenso cardiocircolatorio), che possono portare a morte. Tra le più frequenti complicazioni sono le bronchiti; in certi casi possono comparire tubercolosi (come nella silicosi) o neoplasie (come nell'asbestosi). L'evoluzione della malattia, data l'irreversibilità delle alterazioni polmonari, che tendono anzi ad un'accentuazione progressiva, è lenta ma costante, anche dopo l'allontanamento dalla lavorazione nociva. La diagnosi si avvale dell'anamnesi lavorativa e dei reperti radiografici.

PNEUMOCOCCIE

PNEUMOCOCCIE malattie provocate dallo pneumococco. Lo pneumococco è un germe saprofitico che vive abitualmente nelle varie sezioni canalicolari dell'apparato respiratorio; quando diviene virulento determina, oltre alla polmonite, innumerevoli manifestazioni patologiche (setticemie, manifestazioni pseudotifiche e pseudomalariche, localizzazioni infiammatorie viscerali come pleuriti, endocarditi, pericarditi, meningiti, encefaliti, peritoniti, artriti, nefriti, otiti, mastoiditi, sinusiti, congiuntiviti, infiammazioni cutanee). Le manifestazioni pneumococciche non sono specifiche ma comuni ad altri germi, per cui la vera origine è determinata solo dall'esame batteriologico. Il germe è sensibile agli an- tibiotici, ai sulfamidici e alle terapie associate.

PNEUMATURIA

PNEUMATURIA emissione di urine gassose; il fenomeno è in rapporto a comunicazione tra le varie parti del tubo digerente (appendice, cieco, retto, ecc.) e la vescica; può essere dovuto a cistiti sostenute da microrganismi produttori di gas, ad ascessi provenienti dalle regioni genitali e pelviche. La diagnosi è spesso indaginosa poiché sono richieste esplorazioni uretrali, rettali e, nelle donne, vaginali.

MORBO DI PLUMMER

MORBO DI PLUMMER o gozzo nodulare tossico, condizione morbosa rappresentata da ipertiroidismo conseguente a formazione tiroidea nodulare tossica. A differenza dell'ipertiroidismo del morbo di Basedow-Flaiani, l'adenoma tossico della tiroide interessa soggetti di età più avanzata: l'adenoma dà luogo ad un gozzo non diffuso, più o meno voluminoso, che interessa in genere un lobo tiroideo (ma può interessare più lobi nella forma multinodulare), e risulta di consistenza molto aumentata in corrispondenza delle nodosità; talvolta il gozzo può mancare e le nodosità si presentano come piccole aree circoscritte; l'adenoma tossico può svilupparsi nella fase evolutiva di un gozzo semplice (vedi). I sintomi determinati dall'adenoma tossico corrispondono a quelli di un ipertiroidismo puro in quanto, a differenza del Basedow, l'alterazione non è legata a disordini funzionali diencefalo-ipofisari: pertanto sono presenti i segni clinici da eccesso di secrezione di ormoni jodati, ma mancano i segni relativi all'aumento dell'ormone tireotropo ipofisario e in particolare l'esoftalmo e l'edema pretibiale. La diagnosi clinica si basa sui sintomi comuni dell'ipertiroidismo e sui sintomi differenziali sopra riferiti; la scintigrafia tiroidea con jodocaptazione mostra la presenza di uno o più noduli caldi, cioè funzionanti in eccesso e quindi ipercaptanti. L'evoluzione dell'adenoma tossico, lasciato a sè, è sfavorevole in quanto non vi è regressione spontanea; è altresì possibile la trasformazione tumorale in senso maligno.

PLEURODINIA

PLEURODINIA dolore in corrispondenza della proiezione delle pleure, che insorge unilateralmente o bilateralmente senza che siano riscontrabili infiammazioni degli organi sottostanti. Sede di elezione di tale dolore, che ha periodi di esacerbazione nelle ore notturne, sono i margini costali delle ultime costole, le regioni laterali e inferiori del torace, con facoltativa irradiazione alle spalle, alle scapole, al collo e alle regioni mastoidee. Le prove di laboratorio (formula leucocitaria, velocità di sedimentazione, esame delle urine) e gli esami radiologici sono negativi. Spesso la pleurodinia decorre in maniera epidemica (mialgia epidemica, o malattia di Bornholm).

PLEURITE SACCATA

PLEURITE SACCATA, pleurite limitata a una regione circoscritta della pleura; l'intervento radiologico, non sempre facile, è indispensabile poiché, tranne rarissimi casi, la diagnosi basata sulla sintomatologia e sui criteri clinici è impossibile. Si distinguono, a seconda della sede: pleurite diaframmatici (caratterizzata da ottusità alla percussione, respiro ridotto e singhiozzo), spesso associata o mascherata da un ascesso subfrenico; pleurite interbare (sierosa o purulenta, con sintomatologia bronchitica); pleurite apicale (caratterizzata da ottusità dell'apice alla percussione, dolori sopraclavicolari, singhiozzo). Le cause sono riferibili a tubercolosi, a broncopolmoniti o ad infiammazioni di organi vicini.

sabato 28 marzo 2009

PLASMOCITOMA

PLASMOCITOMA tumore maligno costituito da plasmacellule, elementi di derivazione linfatica interessati nelle difese immunitarie dell'organismo. Il tumore è quasi sempre multiplo ed ha sede caratteristica nel midollo delle ossa (donde il suo vecchio nome di mieloma multiplo), pur potendo colpire qualsiasi altra parte del corpo (plasmocitoma extra-osseo). È oggi catalogato tra i linfomi, anche se colpisce assai raramente le ghiandole linfatiche, fatto che appare certamente strano se si considera la parentela delle plasmacellule con i linfociti. Il plasmocitoma è malattia tutt'altro che rara, ed appare in leggero aumento negli ultimi anni: esso colpisce soprattutto individui attorno ai 60 anni, con leggera prevalenza per il sesso maschile. Poiché il tumore ha sede ossea, i primi segni riguardano lo scheletro, con insorgenza di dolori ossei persistenti, talora con lieve tumefazione della parte interessata; poi compaiono segni di altro genere e poco specifici, quali anemia, decadimento delle forze, ingrossamento del fegato e della milza, disturbi a carico dell'apparato digestivo, quali diarrea e dispepsia. Di fronte ad una sintomatologia così varia, il riconoscimento del plasmocitoma è legato ad alcune specifiche indagini diagnostiche: anzitutto un esame radiologico, che rivela alterazioni scheletriche multiple e con aspetto caratteristico; poi un esame del midollo osseo al microscopio attraverso un puntato sternale, che dimostra la presenza di plasmacellule in numero assai superiore a quello normale; infine un esame delle proteine del sangue, le quali aumentano di quantità ma soprattutto di qualità, con esagerata abbondanza di quelle frazioni delle proteine del sangue chiamate gammaglobuline. Queste indagini consentono di fare una giusta diagnosi e di intraprendere un'adatta terapia, che oggi si basa essenzialmente sulla somministrazione di specifici farmaci anticancro: i risultati ottenuti con questi mezzi non sono ancora del tutto soddisfacenti, perché se è vero che essi prolungano assai la sopravvivenza del malato e ne alleviano notevolmente i disturbi, non si è riusciti invece, a tutt'oggi, a raggiungere una definitiva guarigione del plasmocitoma, che resta così una delle più gravi forme di cancro. Alterazioni delle immunoglobuline non sono state riscontrate solo nel plasmocitoma, ma anche in altre condizioni morbose che ad esso sono probabilmente apparentate, come le malattie da catene pesanti e il morbo di Waldenstroem, che forse sono varietà o stadi iniziali del plasmocitoma.

TUMORI DELLA PLACENTA

TUMORI DELLA PLACENTA la placenta, costituita da un intreccio di tessuti di origine materna e fetale e destinata ad essere eliminata a parto espletato, può essere sede di tumori che insorgono o dalla placenta stessa, o più spesso da residui rimasti nell'utero. Si tratta di tumori nel complesso rari, alcuni dei quali benigni (polipi placentari), altri di natura degenerativa, come la mola idatiforme, altri maligni, come il corioadenoma destruente e soprattutto il coriocarcinoma, che insorgono da residui placentari, infiltrano la parete dell'utero e attraverso i vasi sanguigni possono diffondersi in altre parti del corpo, soprattutto nei polmoni. La diagnosi di queste neoformazioni maligne si può fare con il raschiamento e con l'esame microscopico dei frammenti estratti dall'utero, o anche con un esame del sangue e delle urine, che rivela tracce di ormoni placentari anche a parto avvenuto.

PLACENTA PREVIA

PLACENTA PREVIA voce che deriva dal latino e che definisce la placenta la cui zona di inserzione, più o meno estesa, sia avvenuta nella porzione estensibile del segmento inferiore dell'utero. Si può altrimenti dire che una placenta è previa quando sostituisce, più o meno largamente, il polo inferiore delle membrane. Si definiscono 5 varietà di placenta previa, in rapporto con il limite raggiunto dal contorno placentàre nei confronti dell'orificio uterino interno-. laterale, per cui il margine placentare è raggiungibile (dal dito esploratore) ma non arriva ad interessare l'orificio uterino interno; marginale parziale, in cui il margine placentare interessa la regione dell'orificio uterino, lasciando però libera una zona più o meno estesa delle membrane (che possono essere raggiunte dal dito esploratore); marginale estesa, per cui la placenta occlude completamente la bocca uterina e non consente di raggiungere in nessun punto le membrane; centrale totale, in cui il centro di figura della placenta si sovrappone alla bocca uterina; centrale parziale, varietà identica alla marginale estesa. C'è chi sostiene che la placenta previa si formi per insufficienza, o mancanza, dell'azione bloccante da parte delle pliche mucose dell'endometrio (a causa di una deficiente proliferazione pregravidica della mucosa, o per dissociazione tra ciclo ovarico e ciclo endometriale), e c'è invece chi pensa che la placenta si estenda verso il segmento inferiore per deficienza delle connessioni nutritizie, forse a causa di una minore sanguinificazione della zona placentare per ipoplasia dell'apparato vascolare. Per quanto concerne la genesi delle varietà (laterale, marginale, ecc.) si deve tener conto dello svasamento più o meno ampio dell'orifizio uterino interno, che determina il maggiore o minore interessamento dell'orifizio stesso da parte dei villi coriali ovulari. La frequenza dell'anomalia è calcolata dell'1,2-1,6 per cento sul totale dei parti, ed è maggiore nelle pluripare rispetto alle primipare, con un rapporto di 1 a 3 circa. Altri fattori chiamati in causa, patogeneticamente, sarebbero i fatti flogistici dell'endometrio (endometriti), i fibromi e le gravidanze multiple. La sintomatologia della placenta previa è costituita essenzialmente dall'emorragia, causata dal fatto che la placenta non è né estensibile né riducibile (mancando di elementi elastici e contrattili), per cui, non potendo seguire la distensione del segmento inferiore dell'utero, se ne distacca, causando la rottura dei vasi in grembo alla decidua. Per quanto concerne l'epoca di comparsa dell'emorragia diremo che nella placenta previa laterale questa insorge solo in travaglio se si tratta di pluripare, più precocemente nella primipara per la precocità dell'impegno della parte presentata. Nella placenta previa marginale l'emorragia insorge prima dell'inizio del travaglio, talora prima del termine di gravidanza; ancora più precocemente l'emorragia nella placenta previa centrale (anche qui la sintomatologia è più precoce nella primipara). La gravità della complicazione è maggiore quanto più estesa è la zona di placenta che interessa il segmento inferiore. La diagnosi è difficile in corso di gravidanza (dove è di probabilità). Più agevole in travaglio di parto (di certezza). Bisogna tener presente le emorragie ripetute, il segmento inferiore ispessito (si palpa difficilmente la parte presentata). A collo uterino permeabile al dito esploratore si può palpare il tessuto placentare, che dà una speciale sensazione di crepitio e sanguina facilmente ed abbondantemente. La diagnosi differenziale va posta con la emorragia da distacco di placenta normalmente inserta. La prognosi varia a seconda della varietà di inserzione, del momento in cui insorge l'emorragia (in gravidanza od in travaglio), della gravità dell'emorragia e del momento in cui lo specialista può intervenire, a seconda delle condizioni generali della donna (preesistenti fatti anemici, ad esempio) e di eventuali concomitanti complicazioni. Prevede una mortalità fetale del 10-20 per cento nei casi espletati per via cesarea addominale, del 40-80 per cento in quelli per via vaginale; la mortalità materna è rispettivamente dell'l-5 per cento e 1-10 per cento. La terapia tende oggi ad essere squisitamente chirurgica (taglio cesareo addominale), anche in considerazione dei sopracitati valori percentuali statistici, che prevedono i peggiori risultati con la soluzione per via vaginale (assistenza al parto classica). Ma d'altra parte non sempre si è in condizioni di praticare un tempestivo taglio cesareo in ambiente idoneo. Ecco che allora possono tornare in auge i vecchi precetti terapeutici classici: immobilità assoluta, proscritta ogni esplorazione per via vaginale, posizione supina con arti inferiori sollevati ed accavallati, coagulanti (di scarsa utilità), pnorfina (per bloccare le contrazioni uterine), evenale tamponamento stipatissimo dei fornici in arsa della possibile ospedalizzazione.

PITIRIASI ROSEA

PITIRIASI ROSEA dermatosi che si manifesta con chiazze arrossate e squamose assieme, localizzate simmetricamente al tronco, alla radice degli arti superiori, e disposte in linee parallele. La natura più probabile della malattia è quella infettiva, probabilmente da virus, ma a scarsa contagiosità. Sono colpiti soggetti di entrambi i sessi, tra i 15 e i 40 anni. L'inizio è segnato dalla comparsa di una chiazza eritemato-squamosa solitaria (chiazza madre) che si evidenzia al tronco, grande (rimarrà la più grande di tutte), a centro atrofico e a margine leggermente rilevato roseo. Dopo qualche giorno la chiazza tende a sfumare; però improvvisamente compaiono altre chiazze simili, ma più piccole, numerosissime. Non v'è febbre, né prurito; qualche caso è accompagnato da dolori vaghi alle articolazioni. Tutto il complesso delle chiazze va poi a guarigione, nel giro di un mese circa, senza lasciare segni sulla cute.

PIRIDOSSINA-DIPENDENZA

PIRIDOSSINA-DIPENDENZA, condizione morbosa legata alla vitamina B6, o piridossina, contenuta in alcuni alimenti fra i quali le uova, il salmone, l'aringa, le patate, gli spinaci, i piselli, i fagioli. Le vitamine in genere fungono da co-enzimi, che intervengono in reazioni del ricambio insieme con gli enzimi. Queste reazioni dipendono dunque non solo dalla vitamina ma anche dal corrispondente enzima. Se per un'anomalia genetica dell'enzima la vitamina non può unirsi con esso, è come se mancasse la vitamina, nonostante che questa sia presente in quantità adeguata. Nel caso di cui parliamo vi è un difetto congenito dell'enzima glutammico-decarbossilasi cerebrale, necessario per la trasformazione dell'acido glutammico in acido gammaaminobutirrico, cui consegue una troppa bassa concentrazione di quest'ultimo nella sostanza grigia cerebrale. Ne derivano ipereccitabilità e crisi di convulsioni generalizzate, molto poco sensibili ai comuni sedativi, e che risentono invece assai favorevolmente della somministrazione di alte dosi di vitamina B6. La sospensione del trattamento determina costantemente la ricomparsa della sintomatologia convulsiva. La vitamina B6 esplica un'azione terapeutica in quanto fornisce una maggiore quantità di coenzima necessario allo svolgimento della reazione che porta alla formazione di acido gamma aminobutirrico. La malattia, ereditaria, viene trasmessa quando i genitori, esteriormente sani, sono entrambi portatori inapparenti dell'anomalia, e la probabilità della nascita d'un figlio ammalato è di 1 su 4.

PIRGOCEFALIA

PIRGOCEFALIA malformazione del cranio, che appare abnormemente alto e corto (capo a torre), presente in soggetti con deficit intellettuali (oligofrenici), dovuta a ragioni poco chiarite (vedi acrocefalia). Non tutti gli oligofrenici sono pirgocefalici e non tutti i pirgocefalici sono oligofrenici, per cui il rapporto tra i due fenomeni non sembra stretto. La pirgocefalia si accompagna, talora, ad atrofia ottica o a disturbi del comportamento. Sembra dovuta ad una troppo precoce saldatura della sutura coronaria delle ossa craniche (talora avvenuta già in fase endouterina), dalla quale dipende uno schiacciamento del cervello e dei nervi ottici a cui può conseguire l'impossibilità dello sviluppo cerebrale e l'oligofrenia.

PIOSALPINGE

PIOSALPINGE, voce che deriva dal greco e che significa raccolta di pus nel lume della salpinge. Si verifica per la chiusura dell'ostro addominale della salpinge, a livello del padiglione, le cui frange si invertono, introflettendosi e conglutinandosi a mo' di barriera protettiva, all'estensione del processo flogistico. L'ostro uterino della salpinge, invece, si occlude per la formazione di edema reattivo. Chiusi gli sbocchi di uscita, il liquido purulento distende la salpinge, che assume la forma di un sanguinaccio o di una storta e può essere di volume variabile, da quello di un'arancia fino ad una testa fetale a termine. I germi in causa sono tutti quelli comuni a tutte le forme infiammatorie della pelvi femminile. Le vie di infezione sono, soprattutto quelle ascendenti, da infezione del, collo o dell'endometrio, sia per contiguità che per invasione dei vasi linfatici. Rare sono la via ematica e quella peritoneale discendente. Abbastanza spesso il piosalpinge è l'esito di una salpingite o di un sactosalpinge trascurati, o curati male. Spesso la lesione è bilaterale ed allora le due salpingi, prolassate posteriormente all'utero, si congiungono e si fondono a livello dei padiglioni, creando una raccolta saccata, di vario volume, con parete ben delimitata, quasi fosse una massa a sè stante: il piocele intertubarico. La sintomatologia è simile a quella delle flogosi pelviche suppurate e ricorda molto quella dell'annessite acuta: febbre, dolori vivi localizzati al quadrante addominale inferiore interno, tenesmo rettale e vescicale, con tutti i segni del peritonismo (meteorismo, ventre tumido, difesa muscolare, nausea, vomito ed alvo chiuso). La diagnosi, specie in fase acuta, non è difficile. La sintomatologia e la palpazione della massa latero-uterina, vivamente dolente, coi caratteri sopra ricordati, indirizza assai agevolmente. La terapia è anch'essa quella delle infezioni suppurate del piccolo bacino: riposo, ghiaccio, antibiotici, chemioterapici, risolventi, antidolorifici, ecc. Qualora la raccolta non si riassorbisse si rende necessaria la sua asportazione: salpingectomia per via laparotomica, onde evitare recidive, superinfezioni, o svuotamenti (per lisi o rottura) del pus in cavità addominale.

PINGUECOLA

PINGUECOLA lesione benigna assai frequente fra le persone anziane. La sua sede è nelle vicinanze del limbus, dalla parte interna o esterna, sul diametro orizzontale, nella parte scoperta dalle palpebre. Ha la forma di una macchia triangolare con la base rivolta verso la cornea, di colorito giallastro e con una trama vermicolare. La pinguecola, localizzata nello spessore della congiuntura, risulta mobilizzata con questa. La lesione rappresenta uno stato degenerativo caratterizzato dal deposito nei tessuti di masse amorfe, ialine, e di ammassi di fibre elastiche degenerate. Non arreca alcun disturbo e non necessita di alcun trattamento. Si può ricorrere all'asportazione chirurgica a scopo estetico.

PILOROSTENOSI

PILOROSTENOSI restringimento dell'orifizio pilorico. La stenosi pilorica è frequente nei neonati, con predilezione per il sesso maschile, e la sua diagnosi esatta viene posta in terza o quarta settimana. Ne sono sintomi il vomito (dapprima lieve e poi sempre più grave, insorgente nella seconda settimana di vita), la fame (il bambino mangia con avidità, ma solo una piccola quantità di cibo varca il duodeno), la defecazione scarsa, il calo del peso, l'enterorragia. In breve tempo compaiono disidratazione, dilatazione epigastrica, contrazioni gastriche (visibili attraverso le pareti addominali), aumento del tono muscolare (per alcalosi dovuta a perdita dei succhi gastrici); le urine sono alcaline e hanno elevato peso specifico; la radiografia mette in evidenza la dilatazione dello stomaco con difficoltà nel passaggio dallo stomaco all'intestino. Possono comparire convulsioni. Il trattamento medico sintomatico dà qualche volta risultati soddisfacenti, ma quello chirurgico, preceduto da terapia idratante, è senza dubbio più risolvente.

PILOROSPASMO

PILOROSPASMO spasmo dell'orifizio che dalla cavità gastrica porta al duodeno; in tale sede esiste uno sfintere contornato da fibre muscolari ispessite: lo spasmo di tale orifizio produce una sindrome clinica di diversa gravità; compaiono vomito da ristagno gastrico, con presenza di cibi fermentati, maleodoranti (talvolta residui alimentari di pasti consumati nei giorni precedenti), senso di guazzamento gastrico, dolenzia, stato di sofferenza generale, stipsi; nei casi gravi si arriva ai sintomi dell'alcalosi e alla tetania. Il sondaggio gastrico a digiuno e l'esame radiografico mettono in evidenza il ristagno alimentare, la dilatazione gastrica e la ristrettezza del piloro, per cui alla fine si determina il quadro della stenosi pilorica, in cui il passaggio dallo stomaco al duodeno diventa organicamente ristretto. La diagnosi è facile, ma la ricerca delle cause può essere indaginosa; le cause più comuni sono i tumori juxta-pilorici e duodenali, alcune varietà di ulcere duodenali, i corpi estranei ingeriti accidentalmente, i calcoli epatici, le compressioni dall'esterno (perigastriti, masse ghiandolari), le visceroptosi gravi, l'atonia gastrica (per cui si determina una pilorite da trazione), gli spasmi riflessi da appendicite, la calcolosi renale, le affezioni ginecologiche. Pilorospasmo è riscontrabile nel lattante, in cui talvolta si arriva alla stenosi pilorica, per la quale si arriva a vedere ad occhio nudo attraverso la parete addominale i movimenti antiperistaltici delle .pareti gastriche. Nei casi di stenosi pilorica del lattante, resistente alla dieta e ai farmaci antispastici, è necessario ricorrere all'intervento chirurgico, che dà un immediato risultato soddisfacente.

PIELITE

PIELITE, infezione acuta o cronica della mucosa che avvolge il bacinetto renale; produce sintomi ad esordio improvviso: brividi e freddo, vomito, diarrea, dolori addominali, dolori in sede costo-vertebrale, oliguria, presenza di pus e sangue nelle urine. La pielite può essere contratta per via ematogena (nel corso di fugaci batteriemie) o per un'infezione ascendente delle vie urinarie. I germi presenti nell'urina sono il colibacillo nel 60 per cento dei casi, lo stafilococco e lo streptococco nel 20 per cento dei casi; nei rimanenti casi si ritrovano Proteus vulgaris, bacillo piocianeo o flora batterica mista. La pielite e la pielonefrite, se trattate precocemente, guariscono in breve tempo; sono possibili complicazioni quali ascessi perirenali (più frequenti quando coesistono calcoli), stenosi a valle delle vie urinarie; la gravidanza è una condizione per cui si determina aggravamento. Pielite e pielonefrite trascurate portano ad un'insufficienza renale con sclerosi e a ipertensione. La concessione di liquidi (acque minerali alcaline) deve essere abbondante qualora non vi sia compromissione renale. La dieta acidogena (riduzione dei carboidrati e aumento delle proteine) è da molti dietologi ritenuta la più indicata; nelle forme ribelli bisogna alternare la dieta acidogena con quella alcalogena (nella quale si aumentano gli idrati di carbonio). Si devono evitare cibi irritanti, alcoolici, Gaffe, ecc.

PIEGHE RETINICHE

PIEGHE RETINICHE pieghe della retina, di varia natura. La piega falciforme della retina si presenta come una piega che fa salienza sulla superficie retinica e parte dalla papilla ottica dirigendosi verso la periferia. Verso la periferia può a volte terminare con un distacco di retina e con formazioni cistiche intraretiniche. Spesso bitalerale, è un'alterazione di natura congenita. Altre pieghe possono riscontrarsi negli edemi della regione maculare, dove appaiono come una formazione raggiata a punto di partenza foveale, costituita da numerosissime piccole pieghe della limitante interna della retina. Altre pieghe retiniche si originano nella retinopatia proliferante e sono costituite dal tessuto neoformato vascolarizzato che retrae con sè la retina sottostante; hanno una direzione anarchica. Possono dare origine a distacco di retina non operabile. Un'ulteriore formazione di pieghe retiniche riguarda il distacco di retina vero e proprio, in cui la retina sollevata si dispone in pieghe irregolari su tutto l'ambito della parte in cui è distaccata. Non provvedendo con la chirurgia a riporre la retina nella sua situazione primitiva, queste pieghe possono assumere aderenza fra di loro o col vitreo per fenomeni infiammatori e rendere perciò impossibile l'intervento chirurgico per distacco (pieghe fisse).

PIEDE TORTO CONGENITO

PIEDE TORTO CONGENITO, attitudine viziata e permanente del piede in rapporto alla gamba, in modo tale che il piede non si appoggia al suolo attraverso i suoi normali punti di appoggio. Sotto questa denominazione vanno comprese tutte le deviazioni al piede fisiologico di natura congenita che sono: piede equino, piede talo, piede varo; piede valgo. Spesso le deviazioni si trovano variamente associate, ma la forma che di gran lunga prevale, rapt)res'entando oltre 1'85 per cento dei casi, è il piede equinovaro supinato; seguono il piede valgo (12 per cento) e il piede talo (1,5 per cento). Alcuni Autor; per piede torto intendono l'equino-varo supinato, la cui natura congenita è talvolta ereditaria e familiare e si associa con una certa frequenza ad altre malformazioni come la lussazione congenita dell'anca e il labbro leporino. L'anomalia colpisce prevalentemente i maschi e spesso si presenta da entrambi i lati Gli elementi che concorrono alla formazione del piede torto sono rappresentati da una deviazione del piede verso l'interno (varismo) con la punta rivolta verso il basso. In generale si nota una diffusa atrofia delle ossa del piede, escluso il calcagno. La diagnosi non comporta difficoltà e i sintomi sono così evidenti che è molto facile inquadrarla. L'esame radiologico chiarirà meglio le deformazioni delle singole ossa e i rapporti. Il trattamento va iniziato nell'età neonatale: e si effettua la correzione manuale a tappe, seguita dalla contenzione in apparecchio gessato leggero. Qualora queste tecniche non riescano a portare il piede alla sua normale morfologia, oppure in caso di recidiva, e quando il caso è giunto all'osservazione in ritardo, si rendono necessari interventi sulle parti capsulari e sullo scheletro.
PIEDE PIATTO CONGENITO malformazione che può essere la conseguenza di un alterato rapporto fra l'astragalo e il calcagno (piede a dondolo, cioè con l'arcata plantare convessa anziché concava), oppure di alterazioni ossee. In generale l'evoluzione è benigna, ma certe volte insorgono dolori molto forti con difficoltà a mantenere la stazione eretta. Fenomeni di artrosi possono insorgere precocemente. Il piede piatto acquisito si forma per il prolungato carico nella stazione eretta ed è tipico di certe professioni, come quella dei camerieri e, secondo la dizione americana, dei poliziotti (con una netta componente dispregiativa). La cura è rappresentata dall'applicazione di solette ortopediche.

PIEDE CAVO

PIEDE CAVO, deformità rappresentata da uno slivellamento della parte anteriore plantare del piede rispetto a quella posteriore, per cui l'alterazione può simulare un piede piatto. Se i tegumenti plantari sono spessi e resistenti il disturbo può essere molto ridotto e, al contrario, qualora vi sia rigidità delle articolazioni del tarso, i dolori assumono carattere di gravità. Il piede cavo può essere di origine neurologica, come negli esiti di poliomielite, in alcune paralisi e nel Parkinson. Può derivare da esiti di fratture con formazione di un callo osseo vizioso, o da ustioni retraenti. L'uso di scarpe antianatomiche, anche se in regola con la moda, è pure fra le cause non infrequenti di piede cavo. Questo può anche essere provocato dalla rottura dell'equilibrio di muscoli intrinseci ed estrinseci. Oltre alla indagine clinica è l'esame radiologico correttamente eseguito a determinare la diagnosi. La terapia, soprattutto nell'infanzia, è rappresentata da manipolazioni, massaggi, ginnastica attiva, unitamente a provvedimenti ortopedici quali i plantari. Nei casi molto dolorosi la cura può essere chirurgica e consiste nella resezione ossea a livello dei metatarsi.

PICNOLESSIA

PICNOLESSIA, forma particolare di epilessia non focale, caratterizzata da assenze (improvvise perdite di coscienza) e da mioclonie della durata di una decina di secondi, frequente nei bambini, a partenza dai nuclei nervosi del talamo. La picnolessia si identifica con il piccolo male. Al termine della crisi il bambino riprende immediatamente le proprie attività (senza l'ottundimento abituale dell'epilessia). Talora la picnolessia scompare spontaneamente all'epoca della pubertà. La terapia è anticomiziale.

SINDROME DI PICK

SINDROME DI PICK o sclerosi lobare con demenza, sindrome neurologica che consiste in una atrofia del lobo frontale ed in parte di quello temporale del cervello, con alterazione delle cellule e delle fibre nervose (particolarmente di quelle situate nella circonvoluzione di Rolando). È una forma ereditaria che colpisce soprattutto le donna dopo i cinquant'anni. In un primo momento la malattia si presenta in modo poco evidente, con modesto deterioramento intellettuale, soprattutto a danno delle capacità psicologiche più elevate (logica, astrazione, ecc.); subito dopo compare apatia, scarsa partecipazione'affettiva al proprio stato di salute, eccessiva ingordigia alimentare, fatuità ed irregolarità nel comportamento sessuale. Per due o tre anni la malattia rimane quasi stazionaria, benché incomincino a farsi notare difficoltà di parola (fino al mutismo). Infine il malato presenta una grave demenza, con blocco di ogni attività. L'elettroencefalogramma appare sostanzialmente normale, mentre la pneumoencefalografia mostra una evidente atrofia della corteccia cerebrale, con aumento dello spazio tra il cervello e la scatola cranica, particolarmente vistoso nel lobo frontale.

INTOSSICAZIONE DA PESTICIDI

INTOSSICAZIONE DA PESTICIDI molte sostanze dotate di azione tossica verso insetti e parassiti che minacciano piante e raccolti, possono essere nocive anche per l'uomo che con esse venga a contatto per motivi di lavoro. A questo rischio professionale crescente per il diffondersi dell'uso di insetticidi e antiparassitari in agricoltura sono esposti gli addetti alla produzione, al trasporto, alla distribuzione e all'utilizzazione dei prodotti pesticidi; al pericolo di intossicazione non sono esposti solo i lavoratori della terra, ma spesso anche i loro familiari, che possono venire sistematicamente od occasionalmente a contatto con tali prodotti, frequentemente conservati senza le necessarie precauzioni. La sintomatologia che caratterizza tali intossicazioni si differenzia a seconda delle specifiche sostanze che sono componenti base dei prodotti pesticidi (arsenico, zolfo, fosforo, cloro, idrocarburi e loro derivati, acido cianidrico e cianuri, derivanti solfociani, ecc.). Più comuni e molto tossici sono in particolare gli antiparassitari e gli insetticidi, gli anticrittogamici e i rodenticidi a base di esteri fosforici e quelli a base di cloroderivati degli idrocarburi. I pesticidi organici fosforati (parathion, melathion, clorothion, TEPP o tetraetilpiofosfato, ecc.), hanno un'elevata e immediata tossicità per il sistema nervoso, dovuta alla loro capacità di inibire la colinesterasi e quindi di inceppare i meccanismi di azione della trasmissione dell'impulso nervoso; ne consegue un accumulo di acetilcolina a livello dei rapporti anatomofisiologici tra nervi e muscoli. In caso di inalazione degli antiparassitari fosforici (intossicazione professionale) o di assunazione orale (per lo più accidentale o a scopo suicida od omicida) si possono avere, in caso di avvelenamento acuto di moderata entità, vertigini, emicrania, nausea, inappetenza, astenia, agitazione ed a volte anche ipersalivazione, sudorazione, stato d'angoscia, disturbi della parola e della vista. Nelle intossicazioni più gravi, la sintomatologia è rapidamente allarmante, con bradicardia, vasodilatazione, ipotensione, miosi, disturbi del respiro, broncospasmo, contrazioni muscolari, ipercinesia.

PERTOSSE

PERTOSSE malattia infettiva dell'infanzia caratterizzata dalla seguente successione di sintomi: periodo di incubazione, clinicamente asintomatico, variabile da cinque a ventuno giorni; insorgenza insidiosa, con catarro nasale e faringeo, lacrimazione, accompagnati facoltativamente da stato subfebbrile; tosse parossistica prevalentemente notturna, con comparsa di attacchi violenti, a volte seguiti da un sibilo particolare (simile allo spasmo inspiratorio dei polli), con durata variabile da due a sei settimane ( sono sintomi facoltativi il vomito, l'espettorazione, piccole emorragie nasali, orali e faringee); periodo di decremento terminale, in cui la tosse ritorna a essere catarrale (qualche bambino acquista una disposizione alla tosse parossistica per qualche tempo). La malattia è dovuta ad un germe denominato Haemophilus pertussis, che può essere prelevato con un tampone faringeo o nasale e coltivato su un terreno particolare di cultura (di Bodet-Gengou); nel sangue si nota aumento consistente dei globuli bianchi con elevazione percentuale dei linfociti. La malattia può complicarsi con temibili broncopolmoniti con dilatazione (enfisema) o rottura (pneumotorace) degli alveoli polmonari, con emorragie congiuntivali e nasali, con convulsioni talvolta accompagnate da compromissione cerebrale. La pertosse è contagiosa da una settimana prima fino a tre settimane dopo la scomparsa delle crisi parossistiche. Occorre somministrare antibiotici (il cui valore terapeutico è discusso, quando non esistono o non si temono complicazioni); gammaglobuline ottenute da donatori immunizzati contro la pertosse (a dosi generose e ripetute); sedativi generali e specifici della tosse. t, indispensabile adottare misure igieniche a carattere generale ( soggiorno prolungato all'aria aperta, umidificazione dell'ambiente, nessuna esagerazione per quanto riguarda gli indumenti). L'alimentazione deve essere varia e prevalentemente asciutta; nei casi in cui compare vomito ostinato occorre somministrare alimenti anche subito dopo il vomito. I bambini di età inferiore a un anno hanno bisogno di cure particolari che richiedono una continua sorveglianza; per essi si rendono talvolta necessarie la tenda a ossigeno, la aspirazione degli essudati faringei e la respirazione artificiale. Le complicazioni polmonari richiedono antibiotici a largo spettro oltre a cure sintomatiche ed ad ossigenoterapia. In caso di convulsioni occorre somministrare energici sedativi.

ASSENZA CONGENITA DEL PERONE

ASSENZA CONGENITA DEL PERONE malformazione le cui particolarità sono precisate dall'esame radiografico; interessa il perone, totalmente o parzialmente assente; coesistono spesso piede valgo e normale brevità della gamba. Si tratta di una malformazione congenita per cui sono richiesti apparecchi ortopedici con i quali si mette il piede in buona posizione; in un secondo tempo, ad accrescimento terminato, è necessaria una artrodesi (immobilizzazione chirurgica) dell'articolazione tibiotarsica.

PERIVISCERITE ADDOMINALE

PERIVISCERITE ADDOMINALE forma morbosa dovuta ad una reazione di difesa del peritoneo contro diverse aggressioni infettive, per cui si formano alla fine cicatrici addominali circoscritte o generalizzate. I sintomi sono multipli e variabili; accanto a quelli asintomatici rilevabili nel corso di interventi chirurgici, compaiono, secondo la localizzazione, sintomi gastrici, epato-biliari, intestinali, pelvici. I sintomi gastrici (dispepsia, dolori, intolleranze digestive, ematemesi o melena), epatobiliari (coliche epatiche, idropisia della vescichetta biliare), pseudo-appendicolari (dolori della fossa iliaca destra o para-ombelicali), intestinali (dolori diffusi, manifestazioni occlusive, stipsi), pelvici (dolori pelvici, utero-annessiali) richiedono un ausilio radiografico. Perivisceriti post-operatorie possono seguire ad interventi operatori correttamente eseguiti e sono espressione di un terreno organico particolare. Perivisceriti frequenti, talvolta gravi, sono riscontrabili in coloro che hanno superato una peritonite sierosa tubercolare. La dieta è differente a seconda della localizzazione, del dolore e delle intolleranze; in tutti i casi vanno evitati i cibi difficilmente digeribili, le spezie, le fritture, gli insaccati, il caffè, gli alcoolici. t prescritto il riposo a letto nei periodi dolorosi o nei disturbi gravi di anormale canalizzazione gastrointestinale, come in caso di emorragie mucose. La terapia medica è basata sui farmaci sintomatici; non accettati da tutti sono i prodotti antisclerotici, come iodici, etere, etilbenzilcinnamico, mesotorio, ecc. Le cure fisiche (idroterapia, cure in località climatiche o termali, elioterapia, diatermia, onde corte, radioterapia) sono utili.

PERITONITE TUBERCOLARE

PERITONITE TUBERCOLARE forma di peritonite dovuta a localizzazione peritoneale del bacillo di Koch. Presenta i seguenti sintomi: malessere generale, astenia, discreti dolori addominali, febbricole serotine, dimagramento; alla palpazione si mettono in evidenza tensione addominale, dolorabilità. Nelle forme essudative si ha formazione di liquido nella cavità peritoneale; nelle forme fibroadesive si notano alla palpazione noduli e piastroni di diversa grandezza; nelle forme caseose si formano raccolte caseose, che restano incistate, oppure si aprono nella vescica o nell'intestino. Alla forma essudative seguono riassorbimento del liquido versato o formazione di aderenze. La prognosi, basata sull'anamnesi, sulle caratteristiche del liquido presente nel cavo peritoneale, estratto con puntura esplorativa (rinvenimento di bacilli di Koch, emazie, linfociti) e sulle condizioni generali, è spesso riservata. L'alimentazione deve essere sana, ipercalorica e nutriente.

PERITONITE CRONICA

PERITONITE CRONICA forma cronica di infiammazione del peritoneo che ha quali sintomi: disturbi dispeptici, diarrea alternata a stipsi, dolori cupi e vaghi, talvolta crampi, fenomeni di stenosi intestinale con rigurgiti, meteorismo, dimagramento, febbricola. Le peritoniti croniche sono consecutive ad ascessi peritonitici acuti; danno luogo spesso alla formazione di aderenze fibrose. I processi cronici determinano talvolta essudazione con presenza di liquido (peritoniti essudative, di solito tubercolari). La peritonite uremica, in cui si forma accumulo di sostanze azotate, può comparire come complicanza della nefrite cronica. Altre forme essudative sono di natura reumatica: coesistono facoltativamente in questi casi pleuriti e pericarditi essudative (il quadro sintomatologico è definito polisierosite). Molto utili sono gli esami collaterali (radiografia, laparoscopia, indagini ematologiche per accertamento della natura). È necessaria una dieta leggera e nutriente, con consistenti apporti vitaminici.